Ho letto una cosa sul blog di Matteo Bordone e volevo inviargli un mio commento.
Siccome non riesco a postare la mia replica sul suo blog, lo faccio qui:
Ciao Bordone, ritengo che nella tua critica tu non tenga conto di un fattore fondamentale che non ha nulla a che vedere col politically correct.
Provo a spiegarmi:
Gli sforzi per cambiare la società verso un modello che contempli un livello sempre minore di oppressione passano in primo luogo per le coscienze degli esseri umani e per il loro grado di consapevolezza dello stato di discriminazione in cui si trovano.
Se, ad esempio, penso a mia nonna che è nata nel 1913 penso ad un periodo storico in cui le condizioni di subalternità della donna nei confronti dell’uomo erano decisamente più oppressive di quelle di oggi eppure certi comportamenti in casa o nel lavoro sembravano assolutamente normali a mia nonna mentre oggi, qualunque donna occidentale, li percepirebbe immediatamente come discriminatori.
Immagina di possedere una macchina del tempo e di portare una donna di oggi indietro anche solo di cento anni, immaginala parlare con le donne di allora dell’emancipazione femminile, non credi che la guarderebbero come si guarda un marziano ?
Il processo che ha portato ha cambiare lo stato delle cose è stato lento, fatto di interazione tra le persone, di piccoli passi verso la consapevolezza, di riconoscimenti reciproci e di quotidiane, spesso dolorose, conquiste.Non è stato imposto dall’alto, non è piovuto dal cielo con un astronave.
Per liberarsi dall’oppressione bisogna in primo luogo cominciare a percepire la presenza delle sbarre invisibili che impediscono sia alla vittima che all’oppressore di riconoscersi come tali.
Nel caso del’interazione tra le culture, l’aspetto che tu mi sembri trascurare, è quello relativo all’orologio della storia che si è mosso in modo diverso in zone diverse del mondo.
Kabul senza i talebani non è diventata Stoccolma. La maggior parte delle donne in quel paese indossava il burka prima e lo indossa ancora adesso con Karzai.
Non voglio dire che il burka possa essere per qualcuno una cosa buona e per qualcun altro una cosa cattiva, il burka è oggettivamente una cazzata così come lo è l’infibulazione, la segregazione razziale , o le discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale promosse dalle chiese cristiane in occidente voglio semplicemente dire che è giusto che siano le donne afgane a decidere come, quando e se liberarsi dai loro gioghi. Queste non sono battaglie che si possono fare per conto terzi.
Si può pensare che delle società in cui il livello di discriminazione degli individui sia più basso di altre possano fungere da modelli ispiratori per altre, possano accellerare il processo di consapevolezza in altre culture diffondensi come un meme, ma la diffusione del meme implica una trasformazione, una rielaborazione ad ogni passaggio.
Se le conquiste dei diritti vengono imposte da fuori non saranno mai un processo di evoluzione armonico agli usi e ai costumi della singola comunità , saranno interpretati come coercitivi sia dalle vittime che dagli oppressori.
Perchè ad esempio gli svedesi non abbandonano le loro battaglie di avanguardia e non vengono in Italia ad insegnarci la parità dei sessi e la libertà della ricerca scientifica ? Perchè i Francesi non non ci liberano dall’ingerenza della chiesa cattolica e ci insegnano come si costruisce un vero stato laico (posto che quello francese sia il modello ideale di stato laico, io ad esempio non ne sono convinto) ?
Perchè non andiamo a liberare le donne giapponesi dalla loro condizione di gheishe ?(il caso del Giappone poi è emblematico perchè dimostra come non sia sufficiente il solo sviluppo tecnologico ed economico a promuovere l’evoluzione nella direzione della parità tra gli individui)
Diverso è il discorso sulle comunià di stranieri all’interno dei vari paesi, ma tu sembri mettere assieme le due cose.
Ogni singolo paese ha le sue leggi tarate secondo la propria sensibilità e la propria cultura, le comunità straniere che le abitano si devono adeguare a quelle leggi, punto e basta.
E questo vale per tutti, se una donna va in paese in cui non si può andare in topless in spiaggia o in cui bisogna indossare il velo, dovrà rispettare quella legge, se qualcuno pratica l’infibulazione in Italia avrà tempo di riflettere su quello che ha fatto nella sua cella perchè dalle nostre parti sarà condannato giustamente per lesioni aggravate.
Io però voglio continuare a battermi in primo luogo per l’oppressione della cominità degli uomini più prossima a me fiducioso di appartenere ad un’unica specie animale e fiducioso del fatto che le se le battaglie della mia comunità avranno successo potranno un giorno costituire un esempio benigno e servire anche ad altri uomini che decideranno quando e come impiegarle nel loro particolare contesto, conservando la loro diversità culturale.
Diversamente rischiamo davvero di sentirci superiori nel senso deteriore del termine e daremo ossigeno a quel sentimento che contribuisce oggi a far credere a tanta gente che la guerra in Irak sia una lotta per la democrazia .
Continueremo a dar modo ai prepotenti di giocare, dall’alto della nostra supposta superiorità, con la pelle degli altri come faceva l’Inghilterra coloniale tracciando mappe nel deserto tra comunità di uomini che invece erano organizzate secondo sistemi tribali.
Disegnando confini e stati che quei popoli non riconoscono per poi far cadere dall’alto uguaglianza, democrazia e diritti umani sotto forma di bombe.